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Immigrazione: quando è legittima e quando è clandestina?

Diritto di asilo, status di rifugiato e le diverse tipologie di protezione: il rispetto delle regole e la necessità di controllare i flussi migratori per garantire integrazione e accoglienza, ma anche ordine e sicurezza.

Immigrazione, tematica scottante e sempre attuale che accende spesso gli animi. Ma che cosa dice la legge? E quali sono le problematiche sul tappeto?

Sommario

1)  La Costituzione.

2)  Il diritto di asilo.

3)  Lo status di rifugiato.

4)  La protezione internazionale (o protezione sussidiaria).

5)  La protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati.

6)  La protezione per motivi umanitari.

7)  La protezione speciale.

8)  Le Commissioni territoriali.

9)  Il sistema di accoglienza dei migranti nel territorio italiano nell’attuale cornice normativa.

10)  Il soggiorno regolare.

11)  L’espulsione dal territorio nazionale.

12)  Le problematiche sul tappeto.

La Costituzione.

Bisogna sempre partire dalla Costituzione, in quanto “stella polare” che guida le regole fondanti la nostra società. I principi informatori della materia, infatti, sono direttamente disciplinati dalla Carta costituzionale che, ancorché in via molto generica, traccia le linee direttrici della scottante tematica dell’immigrazione. 

L’articolo 10 della Costituzione, composto da quattro commi, recita testualmente che:

L'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute.

La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali.

 

Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge.

Non è ammessa l'estradizione dello straniero per reati politici”.

In base alla semplice esegesi del testo costituzionale, si evince come la condizione dello straniero, in Italia, sia soggetta non soltanto alla legge nazionale ma anche ai trattati e alle norme internazionali. Ciò significa che lo Stato italiano – sia quando agisce quale pubblica amministrazione, ossia, in qualità di governo a tutti i suoi diversi livelli territoriali centrali e periferici, sia in particolare quando agisce in qualità di legislatore nazionale – non può prevedere trattamenti più sfavorevoli rispetto a quelli concordati dalla comunità internazionale.

Pertanto, la tematica non è soggetta all’arbitrio individuale, pena, la nascita di una crisi diplomatica o, peggio, nelle ipotesi più gravi, la violazione di norme internazionali con conseguente rischio di sanzioni, anche se, queste ultime, non devono essere intese con la stessa forza di minaccia, tipica espressione della capacità repressiva prerogativa esclusiva degli Stati nazionali verso i propri cittadini.

Il fatto che la materia sia oggetto di disciplina anche internazionale, deve far rammentare che la gestione dei flussi migratori costituisca una problematica sentita a livello globale. Gli attori internazionali – e gli Stati nazionali in prima linea –  sono consapevoli che essendo partecipi di una comunità, non possono agire in completa autonomia, ma sempre nel rispetto delle minime norme che essi stessi si sono dati da soli.

Tra gli autolimiti che la Repubblica italiana si è autoimposta, vi è il riconoscimento del diritto di asilo, diritto fondamentale e inalienabile di ogni uomo, in virtù del quale ad ogni cittadino straniero deve essere garantita una tutela adeguata qualora nel suo Paese di origine gli fosse impedito l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla nostra Costituzione italiana.

La norma costituzionale non può che essere inquadrata anche alla luce del contesto storico in cui essa è nata, ossia successivamente ai noti e tragici epiloghi della seconda guerra mondiale.

Inoltre, la norma, per il tramite della nascita dell’Unione europea, ha assunto un diverso significato, giacché in virtù del Trattato di Maastricht tutti i cittadini europei sono liberi di circolare, soggiornare o lavorare in tutti i paesi comunitari; da qui la nascita della distinzione tra cittadini comunitari ed extracomunitari.

I cittadini extracomunitari, difatti, per entrare regolarmente in Europa, necessitano di: 1) un passaporto valido; 2) di un visto di ingresso; 3) e, non meno importante, dell’attraversamento di un valico di frontiera appositamente istituito.

Solamente dopo che lo straniero sia entrato regolarmente nel territorio italiano potrà quindi ottenere il visto di soggiorno o permesso di soggiorno.


Inoltre, è bene precisare che se l’ingresso è richiesto per motivi di lavoro, ogni anno viene fissata la quota massima di stranieri a cui può essere concesso il permesso di lavoro.

Il diritto di asilo.

Il diritto di asilo - che può essere definito il diritto di qualunque straniero a ricevere protezione qualora sia perseguitato o discriminato nel suo Paese di origine per ragioni di razza, religione, nazionalità, opinioni politica, appartenenza etnica o sociale - se è vero che si configura quale diritto soggettivo dell’individuo ad ottenerlo, risulta, di fatto, strettamente correlato al potere discrezionale dello Stato di concederlo, secondo le condizioni che esso stesso stabilisce con la legge.

Lo status di rifugiato.

Lo status di rifugiato non trova direttamente “asilo” nel testo costituzionale, ma è stato introdotto nel nostro ordinamento per il tramite del diritto internazionale pattizio, ovvero per l’adesione dello Stato italiano alla Convenzione di Ginevra del 1951 ed alla Convenzione di Dublino del 1990, quindi essenzialmente da fonti di rango europeo.

In particolare, lo status di rifugiato si differenzia dal diritto di asilo, in quanto, per richiedere accoglienza, lo straniero non può semplicemente addurre che nel proprio Paese di origine siano generalmente represse le libertà fondamentali, ma occorre che egli dimostri sia stato oggetto di specifici atti persecutori e discriminatori, per ragioni di razza, religione, nazionalità, opinioni politica, appartenenza etnica o sociale.

La protezione internazionale (o protezione sussidiaria).

Anche l’istituto della protezione internazionale è di matrice europea e si differenzia dallo status di rifugiato, in quanto consiste nella protezione che viene riconosciuta allo straniero che non riesce a dimostrare di essere stato oggetto di specifici atti persecutori, il quale, tuttavia, riesce a dimostrare che qualora tornasse nel suo Paese di origine, correrebbe l’effettivo e concreto rischio di grave danno alla propria incolumità e che, inoltre, non voglia o non possa avvalersi dell’aiuto del proprio Paese.

La protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati.

Una fattispecie peculiare di protezione sussidiaria è quella temporanea che può essere concessa agli stranieri che non possono rientrare nel proprio Paese di origine, nell’ipotesi di massici flussi migratori, dovuti a guerre, violenze o violazione dei diritti umani.

Tale misura deve essere adottata a livello europeo da parte del Consiglio, senza tuttavia che possa imporre la distribuzione obbligatoria dei richiedenti asilo tra i diversi paesi UE. Di conseguenza, tale misura richiederebbe a monte il raggiungimento di uno sforzo politico di cooperazione tra gli Stati europei al fine di ricevere in modo equilibrato gli sfollati.

La protezione per motivi umanitari.

La protezione per motivi umanitari è una figura peculiare di protezione che consente il rilascio del permesso di soggiorno allo straniero irregolare per rispondere ad esigenze umanitarie, caritatevoli o di altra specifica natura. Il rilascio di tale misura speciale di protezione – che può essere concessa solo nei casi tassativi previsti dalla legge nazionale – è nella libera disponibilità di ogni singolo Stato europeo, non essendo assoggetta a particolari vincoli europei.

La protezione speciale.

Di recente, il legislatore nazionale con il decreto-legge n. 130 del 2020 ha introdotto una nuova e ulteriore forma di protezione speciale che lo straniero può richiedere quando non sia stata accolta la domanda di protezione internazionale e, al contempo, ne sia vietata l’espulsione o il respingimento, perché possibile oggetto di atti persecutori o di tortura nello Stato al quale può essere rinviato, senza che esso possa godere di adeguata protezione. In tali ipotesi, inoltre, la legge prevede che il rifiuto o la revoca del permesso di soggiorno sia soggetto al limite del rispetto degli obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano, consentendo anche la conversione in permessi di lavoro.

Le Commissioni territoriali.

Lo status di rifugiato o le diverse forme di protezione possono (devono) essere concesse solo all’esito di una apposita istruttoria ad opera di una Commissione territoriale, la quale ha il compito di esaminare ogni singolo caso e, in particolare, la storia personale del richiedente, le motivazioni della richiesta, nonché il Paese di provenienza.

Lo Stato competente ad esaminare la domanda, salvo eccezioni, è lo Stato di primo ingresso dello straniero, indipendentemente dai suoi successivi spostamenti all’interno della Comunità europea.

Il sistema di accoglienza dei migranti nel territorio italiano nell’attuale cornice normativa.


A seguito delle recenti modifiche introdotte con il D.L. 130 del 2020, l’attuale sistema di accoglienza dei migranti è fondato sulla base di un coordinamento dello Stato italiano su tutti i livelli territoriali, dal centro alla periferia, in virtù del principio costituzionale di leale collaborazione.

A livello di coordinamento nazionale e regionale, presso il Ministero dell’Interno è insediato un apposito Tavolo di coordinamento, che si occupa della programmazione, pianificazione ed accoglienza, al quale compete anche l’individuazione dei criteri di ripartizione dei migranti tra le diverse regioni.

Con specifico riferimento alle misure di accoglienza, in particolare, la procedura si articola in due distinte fasi.

Una prima fase si occupa del soccorso e della prima accoglienza in appositi centri, anche al fine di agevolare le operazioni di identificazione dei cittadini irregolari che, come spesso capita, qualora siano accolti a seguito di uno sbarco, vengono soccorsi per le cure sanitarie nei c.d. punti di crisi (hotspot) allestiti ad hoc nel luogo di ingresso irregolare, anche al fine di assumere le prime informazioni e di renderli edotti circa le misure di protezione esistenti.

Le strutture governative di solito non sono sufficienti a gestire l’afflusso migratorio, pertanto i migranti vengono spesso trasferiti in centri di accoglienza straordinari e temporanei (denominati CAS) la cui ardua e non facile individuazione è traslata sulle Prefetture, le quali si devono anche coordinare con l’ente territoriale destinato ad ospitarli, oltre a doversi occupare della procedura di gara per l’affidamento del servizio di prima assistenza.

La seconda fase del sistema di accoglienza e di protezione è fondato sul principio solidaristico e si attua su base volontaria.

In particolare, enti locali, associazioni del Terzo settore, Ministero dell’Interno ed Anci (Associazione nazionale dei comuni italiani), si coordinano per il finanziamento di progetti di integrazione attingendo dal “Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo”, ossia un fondo che riceve risorse sia nazionali che annualmente dall’Unione europea in base alle assegnazioni disposte dal Fondo europeo per i rifugiati.

La finalità di questa fase di accoglienza non è solo quella di assicurare vitto e alloggio agli immigrati, ma una serie di attività volte a favorire l’integrazione, quali l’insegnamento della lingua italiana, la formazione professionale, l’inserimento lavorativo, l’assistenza psico-socio-sanitaria e legale.

L’inserimento in tali strutture, nei limiti dei posti disponibili, è stato di recente consentito non solamente ai soggetti già titolari di protezione internazionale e ai minori stranieri non accompagnati, ma anche a tutti quei soggetti richiedenti la protezione internazionale che ne erano stati esclusi in base alla disciplina previgente ex D.L. 113 del 2018, oltre ad altri soggetti titolari di peculiari permessi di soggiorno.

Il soggiorno regolare.

L’extracomunitario per soggiornare regolarmente in Italia, pertanto, necessita:

1) di un passaporto (o di un altro documento di viaggio valido);

2) di un visto di ingresso;

3) oppure di un permesso di soggiorno che, come abbiamo visto, può essere concesso ai richiedenti asilo, ai rifugiati o ai soggetti necessitanti di protezione.

Di conseguenza, l'ingresso regolare in Italia è consentito solamente con visti per soggiorni di breve durata (massimo 3 mesi) oppure di lunga durata (superiore a 3 mesi), che possono essere concessi per motivi di visita, turismo, per lavoro, per studio, per ricerca, per motivi familiari etc., da richiedersi direttamente all'ambasciata o al consolato italiano del Paese di provenienza.

Per i soggiorni di durata inferiori a tre mesi sono ritenuti validi anche i visti rilasciati dalle autorità diplomatiche di altri Stati con i quali l'Italia ha ratificato accordi o sulla base delle norme comunitarie.

Qualora non siano rispettate tali condizioni, lo straniero si trova in una condizione di irregolarità e può, pertanto, essere soggetto ad espulsione.

L’espulsione dal territorio nazionale.

Lo straniero che raggiunge in modo irregolare l'Italia può essere respinto alla frontiera, sempre previa personale identificazione, oppure, qualora fosse già entrato nel territorio nazionale può essere espulso, salvo non debba essere trattenuto per prestargli soccorso, accertarne l’identità o la nazionalità. Tutela speciale è riconosciuta ai minori stranieri che non possono mai essere espulsi, tranne che per esigenze di ordine pubblico e sicurezza nazionale.

Il provvedimento di espulsione dello straniero è, di norma, adottato dalla Prefettura competente ed eseguito dalla questura, tranne nelle ipotesi di espulsione adottata quale misura di sicurezza, da parte dell’Autorità giudiziaria, nei confronti del condannato straniero ritenuto socialmente pericoloso, oppure a titolo di misura sostitutiva o alternativa della pena.

Tuttavia, di rado il provvedimento di espulsione si concretizza in un vero e proprio allontanamento coattivo essendo, di regola, semplicemente consegnato un documento costituente un ordine di allontanamento che, di fatto, nella maggior parte dei casi non viene eseguito da parte dello straniero irregolare che, di conseguenza, rimane come mina vagante all’interno del territorio nazionale, ossia in un limbo che varia tra lavoro in nero e una inevitabile maggiore propensione a delinquere.

Questa situazione, di mancata effettività dei rimpatri – o, a seconda della prospettiva, di mancata regolarizzazione – va ad incrementare un celato ma cospicuo tessuto di illegalità e clandestinità, come in una spirale senza fine, soprattutto se si considera che secondo uno studio condotto dalla Fondazione Leone Moressa, l’Italia, tra il 2014 e il 2020, ha accolto mediamente circa il 35% delle richieste di protezione. Inoltre, solamente il 20% – circa – degli immigrati irregolari viene effettivamente rimpatriato, ossia 1 su 5. Ciò significa creare un pericoloso e controproducente circuito di illegalità, in netto contrasto con l’obiettivo dichiarato di garantire integrazione e accoglienza, ma al contempo ordine e sicurezza.

Le problematiche sul tappeto.

Ambiguità politica, interessi economici ed eccesso di normazione che conduce troppo spesso a repentini e contrastanti cambiamenti rappresentano sicuramente la spada di Damocle di un flusso di immigrazione che di certo non può essere impedito, ma solamente gestito, soprattutto in considerazione della nascita di una società sempre più globalizzata.

Se alle problematiche e alle incapacità di gestione interna della materia, si devono aggiungere poi quelle a livello europeo ed internazionale, facilmente si comprende il propagarsi delle innumerevoli criticità.

D’altronde, se è vero che “L'Unione [europea] sviluppa una politica comune in materia di asilo, di protezione sussidiaria e di protezione temporanea, volta a offrire uno status appropriato a qualsiasi cittadino di un paese terzo che necessita di protezione internazionale e a garantire il rispetto del principio di non respingimento” (così il TFUE, all’art. 78), il problema rimane come e quando.     

I principali riferimenti normativi.

- Art. 10 e 117 della Costituzione.

- Convenzione di Ginevra del 1951;

- Trattato di Maastricht del 1992;

- Convenzione e Accordo di Schengen;

- Regolamento di Dublino II (regolamento 2003/343/CE, che ha sostituito la Convenzione di Dublino del 15 giugno 1990);

- Regolamento di Dublino III (regolamento 2013/604/CE, di aggiornamento del Regolamento di Dublino II);

- Trattato di Lisbona e protocolli;

- T.U. sull’immigrazione (Decreto legislativo n. 286 del 1998 ss.mm.ii.);

- D.lgs. 30 del 2007 (relativo ai cittadini dell’Unione europea);

- D.lgs. 251 del 2007;

- D.P.R. n. 21 del 2015 (Regolamento relativo alle procedure per il riconoscimento e la revoca della protezione internazionale).

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