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Obbligo vaccinale e diritto alla salute.

Il diritto alla salute nella sua multidimensionalità: diritto all’integrità psico-fisica, trattamenti sanitari obbligatori e consenso informato. Che cosa dice la Costituzione?

Oggi, più che mai, è fondamentale conoscere la nozione giuridica del diritto alla salute, così come espressa dalla Costituzione italiana e, quindi, conoscere tutta la sua multidimensionalità, che si estende anche alle nozioni di trattamento sanitario obbligatorio e consenso informato.

Innanzitutto, ogniqualvolta si desidera rispondere ad un quesito giuridico, è sempre fondamentale partire direttamente dal testo normativo (d’altronde, in claris non fit interpretatio!).

Ebbene, l’art. 32 della Costituzione, formato da due commi, recita:

La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”.

Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.


Già in base ad una semplice lettura dell’articolo in commento, si evince che il diritto alla salute, secondo la nostra Costituzione, si caratterizza per la sua multilateralità. Infatti, il nostro ordinamento afferma esplicitamente che il “bene salute” è tutelato sia quale primario diritto fondamentale dell’individuo che come interesse della collettività.

Per comprendere il valore del concetto della salute, è essenziale consideralo nella sua duplice dimensione, come diritto soggettivo (tra l’altro unico diritto espressamente qualificato come fondamentale dalla nostra Costituzione), ma, al contempo, come interesse della collettività.

Ciò significa che la tutela costituzionale non è incentrata solo sulla sfera delle pretese soggettive, ma è estesa e, in molti casi, condizionata dalla dimensione superindividuale del bene salute.

Pertanto, quando si parla del diritto alla salute, non si può mai pensare solo all’individuo o solo alla collettività, ma, ogni discorso sul tema deve sempre tenere in debita considerazione le due diverse facce della medesima medaglia.

Il diritto alla salute si può definire un bene multidimensionale, espressione di una realtà prismatica, anche in quanto comprende un fascio di situazioni soggettive strutturalmente riconducibili tanto allo schema della libertà negativa (libertà da: come nel caso dei c.d. trattamenti sanitari obbligatori), quanto a quello della libertà positiva (libertà di: come nel caso della libertà di scelta nella cura).


Se si considerano le diverse dimensioni della salute, risulta del tutto evidente come non ci si trovi di fronte ad una rigida gerarchia o ad un valore preminente, anzi, al contrario, è implicito il rimando ad un continuo bilanciamento di contrapposti interessi, non sempre di facile soluzione.

Il contenuto proprio del diritto alla salute, che a detta della stessa Consulta (Corte cost., 27 aprile 2012, n.107), costituisce un diritto soggettivo alla cui tutela è predisposta una azionabilità nei confronti di tutti, ossia tanto nei confronti dei pubblici poteri, quanto nei confronti dei privati, esso consiste nella garanzia di astensione - da parte di chiunque - da qualsiasi comportamento che possa mettere a repentaglio l’integrità della salute fisica e/o psichica di ogni singolo individuo.

Il diritto alla salute, cosi inteso, è oltretutto coerente con il principio personalistico accolto dalla nostra Costituzione (art. 2), a mente del quale viene riconosciuta la precedenza della persona umana rispetto allo Stato, costituendo quest’ultimo un ente superindividuale destinato a rendere servizi tanto al singolo individuo in sé considerato, quanto all’individuo considerato quale componente della collettività, al quale è anche richiesto l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. 

Il riconoscimento all’individuo del diritto fondamentale alla salute, da intendersi come libertà e non come dovere, comporta che il singolo possa scegliere di non curarsi, giacché la tutela della salute rappresenta un valore strettamente legato a quello della libertà.


La pratica terapeutica, d’altronde, si pone all’incrocio fra due diritti fondamentali della persona: quello ad essere curato efficacemente, secondo i canoni della scienza e dell’arte medica e quello ad essere rispettato come persona e, in particolare, nella propria integrità fisica e psichica. Diritto al rispetto della persona che l’art. 32, secondo comma, della Costituzione, pone come limite invalicabile anche ai trattamenti sanitari obbligatori che possono essere imposti per legge solo se a tutela della salute pubblica (Cort. Cost., 27 giungo 2002, n. 282).

Pare opportuno richiamare il secondo comma dell’art. 32 della Cost., che dispone chiaramente che “nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.

Pertanto, due sono i limiti invalicabili delineati dalla Costituzione ai trattamenti sanitari obbligatori (che possono essere definiti come l’insieme delle attività diagnostiche e terapeutiche volte a prevenire o curare le malattie di una persona contro la sua volontà): 1) la riserva di legge e 2) il rispetto della persona umana.

Sul punto, è intervenuta anche più volte la Corte costituzionale (ex multis: Cort. Cost., 22 giugno 1990, n. 307), che ha specificato l’ambito di legittimità dei trattamenti sanitari - sia obbligatori che non - affermando che la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l’art. 32 della Costituzione se il trattamento sia diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri, giacché è proprio tale ulteriore scopo, attinente alla salute come interesse della collettività, a giustificare la compressione del principio di autodeterminazione.

La giurisprudenza, pertanto, in base all’esegesi giuridica della norma in commento, ha affermato che un trattamento sanitario può essere imposto sempre che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che vi è assoggettato, salvo che per quelle sole conseguenze che, per la loro temporaneità e scarsa entità, appaiano normali di ogni intervento sanitario e, quindi, tollerabili.

La legittimità dei trattamenti sanitari obbligatori, in sostanza, è da ricercarsi nel punto d’intersezione tra le due dimensioni costituzionali della salute sancite nel primo comma dell’art. 32 Cost., laddove mira a garantire la tutela sia della pretesa individuale, sia dell’interesse collettivo alla salute dei consociati.

Per la Consulta, inoltre, il diritto alla salute implica e comprende il dovere dell’individuo di non ledere né porre a rischio con il proprio comportamento la salute altrui, in osservanza del principio generale che vede il diritto di ciascuno trovare un limite nel reciproco riconoscimento e nell’eguale protezione del coesistente diritto degli altri.

Dunque, gli interessi individuali possono essere contemperati con gli interessi della comunità, sino a risultare soccombenti di guisa che la singola persona possa essere sottoposta a trattamenti sanitari obbligatori, sempre che tali misure siano adottate anche nell’interesse della singola persona stessa, giacché, le esigenze di tutela della collettività non potrebbero mai giustificare misure tali da recare danno, anziché vantaggio, alla salute del singolo individuo.

Chiarita la multidimensionalità del concetto sotteso al diritto alla salute secondo il testo normativo esplicito della Costituzione, è giunta l’ora di scoprire come la giurisprudenza abbia arricchito, nel corso degli anni, la pletora di una variegata nozione che è già di per sé di difficile applicazione.

La Corte costituzionale (Cort. Cost., 23 dicembre 2008, n. 438), infatti, mediante una interpretazione estensiva e creativa del combinato disposto degli artt. 2, 13 e 32 della Cost., è giunta ad enucleare la nozione di consenso informato.

Il diritto al consenso informato, figlio della sintesi di due distinti e spesso contrastanti diritti fondamentali della persona (il diritto all’autodeterminazione e il diritto alla salute), può essere definito quale il diritto di ogni individuo non solo ad essere curato, ma, altresì ad essere adeguatamente informato su tutte le opportune informazioni in ordine alla natura e ai possibili sviluppi del percorso terapeutico, nonché sulla eventuale esistenza di terapie alternative.

Tali informazioni devono essere le più esaurienti possibili, proprio al fine di garantire la corretta formazione della volontà individuale e, soprattutto, la libera e consapevole scelta, coerentemente con quanto affermato dall’art. 32 della Costituzione, laddove sottolinea l’importanza della libertà personale.


Il riconoscimento del consenso informato inserisce nel discorso intorno al diritto alla salute un bene costituzionale ulteriore ma essenziale, che arricchisce, complicandolo certamente, il bilanciamento dei contrapposti interessi, specie nelle situazioni in cui non esistono soluzioni costituzionalmente “a rime obbligate”, come nelle vicende relative all’inizio o al fine vita, che richiedono giudizi condotti con prudentia iuris.

In conclusione, definito il diritto alla salute in tutta la sua variegata multidimensionalità, ossia come 1) diritto all’integrità psico-fisica, come 2) trattamento sanitario obbligatorio e, infine, come 3) libertà di scelta nelle cure, in un’ottica sia individuale che sociale, è possibile comprendere come la materia sia facilmente campo fertile di posizioni tanto giuridiche, quanto politiche, etiche e sociali non solo contrastanti, ma, molto spesso, diametralmente distanti. 

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