Russia e Ucraina: la sovranità territoriale e il diritto internazionale.
Dottrina “Bush” vs il principio di autodeterminazione dei popoli.
Il presente articolo ha lo scopo di affrontare il conflitto russo-ucraino esclusivamente sotto il profilo degli interrogativi del diritto internazionale, senza sconfinare – impropriamente – in alcuna questione geopolitica. Di conseguenza, saranno analizzate le norme del diritto internazionale e le relative interpretazioni più accreditate.
Sommario
1) La comunità internazionale ed il diritto internazionale.
2) Lo Stato sovrano.
3) I principali limiti al potere di imperio dello Stato sovrano.
4) Il principio di autodeterminazione dei popoli.
5) Il fatto illecito internazionale e le diverse forme di autotutela.
6) La dottrina Bush ed il filone umanitario.
7) La riparazione del fatto illecito.
8) I mezzi diplomatici di soluzione delle controversie internazionali.
9) Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
10) La NATO.
11) Conclusioni.
1) La comunità internazionale ed il diritto internazionale.
Preliminarmente pare opportuno chiarire come la comunità internazionale sia composta tanto dai singoli Stati nazionali che da enti internazionali quali, a titolo esemplificativo, ONU, UNESCO, FAO, OMS, OCSE, Consiglio d’Europa.
Il diritto internazionale, che deve essere inteso come un vero e proprio ordinamento giuridico al pari di quello nazionale, ha lo scopo di regolare i rapporti tra tutti i soggetti della comunità internazionale per assicurare pace e sicurezza internazionale, ma anche e soprattutto per garantire una cooperazione internazionale nelle materie economiche, commerciali e sociali.
Il diritto internazionale è composto dal diritto consuetudinario (prassi), dal diritto pattizio (Trattati e, in generale, dalle fonti scritte), infine dai principi generali riconosciuti dalle Nazioni civili.
La peculiarità del diritto internazionale risiede nel fatto che ogni Stato sovrano possiede, nel proprio ordinamento giuridico, una norma interna che impone agli organi nazionali di rispettare gli obblighi derivanti dal diritto internazionale stesso. Di conseguenza, la legittimazione del diritto internazionale risiede direttamente nella norma interna al singolo Stato nazionale che espressamente lo tutela.
Il diritto internazionale deve essere inteso come il frutto di una autolimitazione da parte del singolo Stato sovrano, poiché la qualità di componente della comunità internazionale confligge con l’idea – a dir vero superata – dell’arbitrio del singolo Stato. Da qui scaturisce la inevitabile connivenza del diritto internazionale con l’aspetto più politico-diplomatico.
In considerazione di ciò, il diritto internazionale può essere definito quale l’insieme dei limiti all’uso della forza di prevaricazione di uno Stato nei confronti di un altro.
Preme evidenziare che il “nocciolo duro” del diritto internazionale è costituito dal divieto assoluto dell’uso della forza bellica al di fuori dell’ipotesi della legittima difesa.
2) Lo Stato sovrano.
Secondo l’interpretazione più accreditata, uno Stato per esistere quale soggetto di diritto internazionale deve:
esercitare effettivamente il proprio potere sovrano sulla comunità territoriale;
essere indipendente, nel senso che deve esercitare il proprio potere sulla comunità territoriale in modo autonomo. Non deve pertanto trattarsi di un Governo “fantoccio” incapace di esprimere una volontà autonoma.
Realizzate tali condizioni, uno Stato automaticamente diviene soggetto di diritto internazionale, senza che sia necessaria alcuna forma di riconoscimento da parte della comunità internazionale. Tuttavia, il riconoscimento da parte di ogni singolo Stato acquisisce una estrema importanza da un punto di vista politico, in quanto lascia intendere se lo Stato riconoscente sia interessato ad intraprendere rapporti diplomatici e amichevoli.
3) I principali limiti al potere di imperio dello Stato sovrano.
Tra i principali limiti che subisce il potere di imperio del singolo Stato nazionale, si segnala in particolare il divieto di ingerenza negli affari altrui, il divieto della minaccia o dell’uso della forza di tipo bellico ed, infine, il rispetto dei diritti umani essenziali.
4) Il principio di autodeterminazione dei popoli.
Definito dalla Corte Internazionale addirittura come “uno dei principi essenziali del diritto internazionale contemporaneo”, Il “diritto dei popoli” all’autodeterminazione deve essere inteso quale contrapposizione tra popolo governato e governanti e, più precisamente, detta contrapposizione si riscontra quando un popolo è sottoposto ad un Governo straniero, ossia è sottoposto a dominazione coloniale, oppure è stato conquistato e occupato con la forza.
In tali casi, è riconosciuto il diritto dei popoli a scegliersi liberamente il proprio regime politico, ovvero a lottare per conquistare l’indipendenza dal dominio del Governo straniero, anche per il tramite dell’associazione o della integrazione con un altro Stato indipendente.
5) Il fatto illecito internazionale e le diverse forme di autotutela.
Nell’ipotesi di fatto illecito internazionale, è principio consolidato il riconoscimento dell’autotutela, ossia il diritto di farsi giustizia da sé.
La peculiarità dell’autotutela è quello di trasformare in lecito un comportamento che sarebbe stato vietato se non si fosse verificato precedentemente un illecito internazionale (c.d rappresaglia o contromisura).
Autotutela che, tuttavia, deve sempre essere inquadrata nel divieto assoluto dell’uso della minaccia o della forza di tipo bellico, ad eccezione dell’ipotesi di legittima difesa volta a respingere un attacco armato (art. 51 della Carta delle Nazioni Unite).
Inoltre, l’autotutela deve sempre essere proporzionata al fatto illecito subito e deve rispettare i principi umanitari.
Altra forma di autotutela è la ritorsione che si differenzia dalla rappresaglia in quanto costituisce un semplice comportamento inamichevole e non si concretizza in una vera e propria violazione del diritto internazionale.
La forma di autotutela più controversa è rappresentata da quella collettiva, poiché rappresenta una razione all’illecito internazionale anche da parte degli Stati che non hanno subito alcuna lesione.
Per tale ragione l’autotutela collettiva è ritenuta lecita solamente qualora sia stata violata una norma di diritto internazionale cogente, ossia che va a minare la stabilità della comunità internazionale, quale appunto in primis il divieto di aggressione bellica sancito dall’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite.
6) La dottrina Bush ed il filone umanitario.
Come abbiamo visto, secondo il diritto internazionale l’uso della forza è consentito esclusivamente in chiave di legittima difesa in conseguenza di un attacco armato (art. 51 della Carta).
Tuttavia, in passato è stata sostenuta, oltre ad essere stata pratica, la teoria della legittima difesa preventiva per giustificare l’attacco verso alcuni Stati (come l’Iraq, la Libia, la Siria e l’Afghanistan), pur non essendo in alcun modo prevista nella Carta delle Nazioni Unite e, anzi, in linea di principio decisamente contraria.
In particolare, per giustificare la lotta al terrorismo post 11 settembre 2001, si è sostenuta la legittimità della guerra preventiva al fine di prevenire una minaccia e, comunque, un imminente attacco bellico.
Tale dottrina è sempre stata oggetto di severa critica e, in alcun modo, è stata mai avvalorata dal diritto internazionale.
All’interno di questo filone, si è anche sostenuta la legittimità dell’uso della forza per scopi umanitari, ossia allo scopo di “proteggere” i cittadini di Paesi terzi, soprattutto nelle ipotesi di gravi violazioni dei diritti umani.
Anche la dottrina umanitaria non è mai stata in alcun modo accolta.
7) La riparazione del fatto illecito.
Lo Stato autore del torto ha l’onere di riparare il danno causato e può farlo con tre diverse modalità:
ripristinare lo status quo ante al fatto illecito;
“soddisfare” le pretese dello Stato con una riparazione dei danni morali per il tramite di formali scuse, omaggi o altri gesti similari;
risarcire integralmente il danno prodotto, di fatto unica vera forma di riparazione dell’illecito internazionale.
8) I mezzi diplomatici di soluzione delle controversie internazionali.
Rispetto ai tradizionali mezzi giurisdizionali di soluzione delle controversie di natura arbitrale – che postulano che gli Stati in conflitto accettino preventivamente di assoggettarsi alla funzione giurisdizionale internazionale – più interessanti risultano essere i mezzi diplomatici di risoluzione delle controversie.
Tra questi si distinguono:
i negoziati diretti tra le parti;
la mediazione di uno Stato terzo o di un organo terzo;
la conciliazione, simile ad un arbitrato con apposita costituzione di una Commissione oppure direttamente innanzi ad una organizzazione internazionale.
9) Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
Il Consiglio di Sicurezza – che di fatto non ha mai funzionato efficacemente essendo riconosciuto in capo alle grandi Potenze il diritto di veto – ha il compito di mantenere l’ordine e la pace internazionale, se necessario anche con l’uso della forza di polizia internazionale, sia con i famosi caschi blu nelle operazioni di peacekeeping operations che autorizzando l’uso della forza direttamente da parte degli Stati.
Accertata una minaccia o una violazione della pace o un atto di aggressione, il Consiglio adotta (dovrebbe) delle misure sanzionatorie prima non implicanti l’uso della forza, come l’interruzione delle relazioni economiche, e solo successivamente implicanti l’uso della forza.
Tra le diverse problematiche di malfunzionamento del sistema di garanzia, primeggia l’eccessivo tasso di discrezionalità del Consiglio, da aggiungersi alle inevitabili difficoltà insite in ogni sistema diplomatico.
Al riguardo pare opportuno ricordare che il Consiglio di Sicurezza è composto da cinque Stati permanenti (USA, Russia, Cina Francia e UK), ciascuno dei quali gode del c.d. diritto di veto, ossia della prerogativa di far decadere l’adozione di una delibera di carattere non procedurale (art. 27), e da dieci membri non permanenti che sono nominati a rotazione in rappresentanza di tutti gli altri Stati, per certo, carenti della medesima influenza degli Stati permanenti.
10) La NATO.
L’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) – i cui membri possono essere esclusivamente gli Stati Occidentali del Nord America e dell’Europa – ha lo scopo non solo di promuovere i principi democratici, ma soprattutto di creare uno spazio di libertà e di sicurezza per gli Stati aderenti attraverso mezzi sia politici che militari.
Coerentemente con i principi del diritto internazionale, il Patto Atlantico consente l’uso della forza bellica esclusivamente per legittima difesa in conseguenza di un attacco armato ad uno degli Stati membri e previo tentativo di risoluzione diplomatica del conflitto (art. 5 del Trattato di Washington del 1949).
Come noto, l’Ucraina non fa parte della NATO.
11) Conclusioni.
Esposti con brevissima sintesi gli aspetti più essenziali e basilare del diritto internazionale, potrai meglio formulare la tua autonoma riflessione sul conflitto russo-ucraino, soprattutto se avrai voglia di approfondire l’argomento per acquisire maggiore consapevolezza.
